IL
TESTO POETICO
Surrealismo
Federico Garcia Lorca
Favola
Unicorni
e ciclopi.
Corni
d'oro
e occhi verdi.
Sulla scogliera
in ressa gigantesca
illustrano il mercurio
senza vetro, del mare.
Unicorni e ciclopi.
Una pupilla
e una potenza.
Chi dubita dell'efficacia
tremenda di quei corni?
Nascondi i tuoi bersagli,
Natura!
e occhi verdi.
Sulla scogliera
in ressa gigantesca
illustrano il mercurio
senza vetro, del mare.
Unicorni e ciclopi.
Una pupilla
e una potenza.
Chi dubita dell'efficacia
tremenda di quei corni?
Nascondi i tuoi bersagli,
Natura!
E' un testo surrealista. Lo stesso titolo lascia intuire che tratterà
argomenti fantastici, appartenenti al mondo del sogno e
dell'immaginazione. Il poeta, già nella prima strofa ne presenta i
protagonisti: gli unicorni e i ciclopi. Nella seconda strofa ne
descrive solo alcuni particolari: corni d'oro e occhi verdi. Nella
terza strofa compare un'ambientazione, ovvero una scogliera. Su di
essa gli unicorni e i ciclopi si radunano aggiungendosi all'immagine
del mare messa in relazione a quella di un mercurio senza vetro: un
mare piatto che ha assunto il colore del mercurio poichè nuvole
grige si stanno riflettendo sulla sua superficie.
Nel
mare però sono ancora presenti dei piccoli riflessi di luce che lo
fanno sembrare simile al mercurio: un'analogia. Le parole "Unicorni
e ciclopi" vengono ripetute
nella quarta strofa. Nella quinta vengono citati altri due
particolari ad essi riferiti: "Una pupilla e una
potenza". Nella sesta
strofa il poeta pone una domanda: "Chi dubita
dell'efficacia
tremenda di quei corni?" Si tratta quindi di qualcosa di molto potente, che deve essere temuto dall'uomo o dagli altri animali? Nell'ultima strofa il poeta si rivolge direttamente alla Natura e le dice di nascondere i suoi bersagli: forse qualcuno potrebbe colpirli e uccidere, per invidia del loro potere, o semplicemente per paura.
tremenda di quei corni?" Si tratta quindi di qualcosa di molto potente, che deve essere temuto dall'uomo o dagli altri animali? Nell'ultima strofa il poeta si rivolge direttamente alla Natura e le dice di nascondere i suoi bersagli: forse qualcuno potrebbe colpirli e uccidere, per invidia del loro potere, o semplicemente per paura.
Beatrice
D'Antonio
Robert
Desnos
Dalla
rosa di marmo alla rosa di ferro
La
rosa di marmo immensa e bianca era sola sulla piazza deserta
dove le ombre si prolungavano all’infinito. E la rosa di marmo sola
sotto il sole e le stelle era la regina della solitudine. E senza
profumo la rosa di marmo sul suo stelo rigido in cima al piedistallo di
granito scintillava di tutti i flutti del cielo. La luna si fermava
pensosa nel suo gelido cuore e le dee dei giardini le dee
di marmo mettevano alla prova i loro freddi seni contro i suoi petali.
La rosa di vetro risuonava a tutti i rumori del litorale. Non c’era un
singhiozzo d’onda spezzata che non la facesse vibrare. Intorno al suo
fragile stelo e al suo cuore trasparente degli arcobaleni ruotavano insieme
agli astri. La pioggia scivolava in sfere delicate sulle sue foglie che
talvolta il vento faceva gemere con spavento dei ruscelli e delle lucciole.
La rosa di carbone era una fenice negra che la fiamma trasformava in
rosa di fuoco. Ma senza sosta estratta dai corridoi tenebrosi della miniera
dove i minatori la raccoglievano con rispetto per trasportarla alla luce
del giorno nella sua ganga d’antracite la rosa di carbone vegliava
alle porte del deserto.
La rosa di carta assorbente sanguinava talvolta al crepuscolo quando la sera
veniva a inginocchiarsi ai suoi piedi. La rosa di carta assorbente custode di tutti
i segreti e cattiva consigliera sanguinava un sangue più denso della schiuma
del mare e che non era il suo.
La rosa di nuvole appariva sulle città maledette nell’ora delle
eruzioni dei vulcani nell’ora degli incendi nell’ora delle sommosse e
al di sopra di Parigi quando la Comune mischiò alle sue vene iridate
il petrolio e l’odore della polvere da sparo. Essa fu bella il 21 gennaio bella
nel mese d’ottobre nel vento freddo delle steppe bella nel 1905 nell’ora
dei miracoli nell’ora dell’amore.
La rosa di legno presiedeva ai patiboli. Fioriva nel punto più alto
della ghigliottina poi dormiva nel muschio all’ombra immensa
dei funghi.
La rosa di ferro era stata forgiata per secoli da fabbri di lampi.
Ciascuna delle sue foglie era immensa come un cielo sconosciuto.
Al minimo urto essa rispondeva col rumore del tuono.
Ma com’era dolce alle innamorate disperate la rosa di ferro.
La rosa di marmo la rosa di vetro la rosa di carbone la rosa di carta
assorbente la rosa di nuvole la rosa di legno la rosa di ferro rifioriranno
sempre ma oggi si sono sfogliate sul tuo tappeto.
Chi sei tu? Tu che schiacci sotto i tuoi piedi nudi i resti fuggevoli della rosa
di marmo della rosa di vetro della rosa di carbone della rosa di carta
assorbente della rosa di nuvole della rosa di legno della rosa di ferro.
dove le ombre si prolungavano all’infinito. E la rosa di marmo sola
sotto il sole e le stelle era la regina della solitudine. E senza
profumo la rosa di marmo sul suo stelo rigido in cima al piedistallo di
granito scintillava di tutti i flutti del cielo. La luna si fermava
pensosa nel suo gelido cuore e le dee dei giardini le dee
di marmo mettevano alla prova i loro freddi seni contro i suoi petali.
La rosa di vetro risuonava a tutti i rumori del litorale. Non c’era un
singhiozzo d’onda spezzata che non la facesse vibrare. Intorno al suo
fragile stelo e al suo cuore trasparente degli arcobaleni ruotavano insieme
agli astri. La pioggia scivolava in sfere delicate sulle sue foglie che
talvolta il vento faceva gemere con spavento dei ruscelli e delle lucciole.
La rosa di carbone era una fenice negra che la fiamma trasformava in
rosa di fuoco. Ma senza sosta estratta dai corridoi tenebrosi della miniera
dove i minatori la raccoglievano con rispetto per trasportarla alla luce
del giorno nella sua ganga d’antracite la rosa di carbone vegliava
alle porte del deserto.
La rosa di carta assorbente sanguinava talvolta al crepuscolo quando la sera
veniva a inginocchiarsi ai suoi piedi. La rosa di carta assorbente custode di tutti
i segreti e cattiva consigliera sanguinava un sangue più denso della schiuma
del mare e che non era il suo.
La rosa di nuvole appariva sulle città maledette nell’ora delle
eruzioni dei vulcani nell’ora degli incendi nell’ora delle sommosse e
al di sopra di Parigi quando la Comune mischiò alle sue vene iridate
il petrolio e l’odore della polvere da sparo. Essa fu bella il 21 gennaio bella
nel mese d’ottobre nel vento freddo delle steppe bella nel 1905 nell’ora
dei miracoli nell’ora dell’amore.
La rosa di legno presiedeva ai patiboli. Fioriva nel punto più alto
della ghigliottina poi dormiva nel muschio all’ombra immensa
dei funghi.
La rosa di ferro era stata forgiata per secoli da fabbri di lampi.
Ciascuna delle sue foglie era immensa come un cielo sconosciuto.
Al minimo urto essa rispondeva col rumore del tuono.
Ma com’era dolce alle innamorate disperate la rosa di ferro.
La rosa di marmo la rosa di vetro la rosa di carbone la rosa di carta
assorbente la rosa di nuvole la rosa di legno la rosa di ferro rifioriranno
sempre ma oggi si sono sfogliate sul tuo tappeto.
Chi sei tu? Tu che schiacci sotto i tuoi piedi nudi i resti fuggevoli della rosa
di marmo della rosa di vetro della rosa di carbone della rosa di carta
assorbente della rosa di nuvole della rosa di legno della rosa di ferro.
In
questo componimento il poeta mette in relazione la rosa con diversi
materiali, secondo una serie di associazioni che emergono
dall'inconscio o dalle esperienze della vita passata, in base ai
principi del surrealismo.
Nella
prima strofa la rosa è di marmo, qualcosa di duro rispetto alla
morbidezza di un fiore; è la regina della solitudine e si trova da
sola in una piazza.
Nella
seconda strofa è associata al vetro ed il poeta si concentra sul
suono; nel suo inconscio il vetro è associato con un suono o un
rumore particolare.
Nella
terza strofa la rosa è di carbone; si trova nelle miniere ed i
minatori lavorano senza sosta per poterla trovare, come fosse un
tesoro. Spesso i minatori morivano e, quando l'autore scrive che la
rosa di carbone è una fenice negra, si potrebbe considerare che
l'immagine della fenice, assieme all'idea di rinascita, richiama
anche quella della morte.
La
rosa di carta assorbente compare nella quarta strofa; un'associazione
tra le altre potrebbe riguardare le mestruazioni, ma anche il fatto
che la carta assorbente ha un limite, non può assorbire più di
tanto, ha una fine.
Ogni
rosa viene associata a un materiale con il quale l'associazione non
si presenta in
modo
immediato.
Consuetamente
la rosa, che è delicata, colorata, viene vista come simbolo di
amore, di felicità. Nella poesia di Desnos è di vetro, elemento
freddo, duro, trasparente; di carbone, dal colore nero; di carta
assorbente, delicata e morbida, ma quasi ingannevole, in quanto
assorbe facilmente, ma ha un limite.
Federica
Marinelli
La
rosa di nuvole compare nella quinta strofa.
La
prima cosa a cui si può pensare è qualcosa di soffice, di bello e
tranquillo ma, leggendo la poesia, ci si accorge subito che per
l'autore non è così. Egli infatti la ricollega al fumo di incendi,
di eruzioni vulcaniche, alle sommosse della Comune di Parigi, al
ghigliottinamento di Luigi XVI il 21 Gennaio 1793, alla Rivoluzione
d'Ottobre del 1905 quando fu rovesciato l'impero zarista e i Soviet
assunsero il potere. Quindi Desnos non vede in questa rosa la
rappresentazione di una bellezza delicata, ma di quella violenta
delle rivoluzioni.
Tommaso
Rivella
Nella
sesta strofa della posia Desnos parla di una rosa di legno che
fiorisce nel punto più alto della ghigliottina: una rosa sbocciata
in Francia.
Nella
strofa seguente descrive una rosa di ferro, dai petali immensi, che
arrivano quasi a toccare il cielo, suggerisce un'associazione con gli
dei in quanto, al solo sfiorarla, si ode il rumore del tuono, della
tempesta, ed ecco quindi anche un'associazione con gli amori
disperati. Un matriale duro e freddo come il ferro entra in relazone
con il sentimento dell'amore.
Nella
penultima strofa Desnos scrive che queste rose "... oggi si
sono sfogliate sul tuo tappeto." Forse con ciò intende che
fanno parte dell'inconscio, come un sogno, come qualcosa che c'è
anche se non se ne percepisce la presenza.
Nell'ultima
strofa si rivolge a qualcuno che calpesta quelle rose, e forse quindi
calpesta una parte di se.
Aaike
Nicols
Per fare una poesia dadaista
Prendete un giornale.
Prendete delle forbici.
Scegliete da questo giornale un articolo avente la lunghezza che desiderate dare alla vostra poesia.
Ritagliate l’articolo.
Ritagliate poi con cura ciascuna delle parole che formano l’articolo e mettetele in un sacchetto.
Agitate dolcemente.
Tirate fuori ciascun ritaglio uno dopo l’altro disponendoli nell’ordine in cui sono usciti dal sacchetto.
Copiate scrupolosamente.
La poesia vi rassomiglierà.
Ed eccovi diventato uno scrittore infinitamente originale e di una sensibilità incantevole, benché incompreso dal volgo.
Ecco un esempio lampante di poesia dadaista!
Il dadaismo si basa sull'ironia, sulla provocazione e sulla presa in giro della razionalità.
Questo componimento è semplice, diretto, prende in giro il modo stesso di fare poesia.
In una poesia comunemente intesa sono presenti sentimenti, emozioni in relazione a qualcosa che il poeta ha provato o che gli è accaduto.
Qui invece Tzara sembra voler sminuire il lavoro dei poeti, dice infatti di prendere delle parole a caso, mischiarle e poi disporle una dopo l'altra: in questo modo ne verrà fuori una poesia definita da lui "incompresa", ma che rappresenterà la pesonalità di chi l'ha fatta.
In realtà la poesia sarà casuale, priva di un senso logico, senza relazione con chi l'ha creata, e perciò assolutamente contro il modo consueto di fare poesia.
Qui il dadaismo si percepisce in ogni verso.
Spesso l'autore aggiunge dei dettagli facendoli risultare come essenziali, quando, in realtà, sono superflui; ad esempio quando dice "Agitate dolcemente" è ironico: anche se si agitasse il sacchetto contenente le parole ritagliate velocemente e con forza, il risultato sarebbe invariato.
Il testo termina con una grande provocazione: " Ed eccovi diventato uno scrittore infinitamente originale e di una sensibilità incantevole..." E' assurdo che una poesia creata senza alcun senso logico possa essere così stupefacente, ma questa affermazione è quella che ci colpisce di più in quanto è radicalmente contraria al senso comune. E poi, "La poesia vi rassomiglierà" suona quasi come un'offesa, in quanto non vi è nessuna relazione con colui che scrive.
Valeria Garziano
Avant Dada
Sul far della sera
Tornano i pescatori con le stelle marine
spartiscono il cibo coi poveri, infilano corone ai ciechi
gli imperatori escono nei parchi a quest’ora che
sembra la vecchiaia delle incisioni
e i servitori fanno il bagno ai cani da caccia
la luce indossa i guanti
apriti finestra – e poi
ed esci notte dalla stanza come il nocciolo dalla pesca,
come il prete dalla chiesa,
dio : pettina la lana agli amanti sottomessi,
colora gli uccelli con l’inchiostro, cambia la guardia alla luna.
- andiamo a prendere i maggiolini
mettiamoli in una scatola
- andiamo al ruscello
facciamo vasi d’argilla
- andiamo alla fontana e ti bacerò
- andiamo nel parco comunale
fino al canto del gallo
che si scandalizzi la città
- oppure adagiamoci nel soppalco della stalladove ti punge il fieno e senti le mucche ruminare
e poi è desiderio di vitelli
partiamo, partiamo.
Quando
arriva la sera tornano i pescatori e spartiscono il pescato con i
poveri. A quest'ora gli imperatori, ovvero i borghesi, escono nei
parchi; la luce fioca del sole rende i colori pallidi come nelle
antiche incisioni, mentre i servi lavano i cani da caccia. La luce,
ormai quasi del tutto inesistente, viene sostituita dalla notte che
cala sulla terra tramite l'apertura di una finestra di una stanza che
potrebbe rappresentare il cielo e viene messa in relazione, per
analogia, ad un nocciolo estratto da una pesca e ad un prete che, col
calare dalle sera, esce dalla chiesa. Dio ridà corpo ai materassi
imbottiti di lana degli amanti a lui sottomessi, colora gli uccelli
con l'inchiostro e cambia la guardia alla luna, ovvero, le cede il
posto del sole, non più punto di riferimento certo per la
conoscenza.
Sara
Ferrari
La
poesia, non divisa in strofe, è composta da ventiquattro versi che
non seguono un ordine specifico. E' un'opera dadaista incentrata
sullo scherzo, quindi non intesa per essere capita se non in base
all'idea di provocazione. Tzara mette in campo diverse cose: parla
della sera e di pescatori che tornano e dividono il cibo con i
poveri facendo salire al trono gente che non vuole vedere questa
realtà. Poi propone un cambiamento con l'arrivo della notte. Fa
appello anche a Dio ed evoca la vita notturna, diversa da quella del
giorno. L'ultima parte sembra riferirsi a un dialogo tra due amanti
che approfittano della notte per fare ciò che vogliono,
fantasticando su dove potrebbero andare.
Ryan
Bisso
Nella
prima parte del componimento possiamo notare che a dar da mangiare ai
poveri sono i pescatori, e non gli imperatori, i quali vengono
definiti ciechi (nonostante la loro potenza) e che preferiscono
rimanere nell'ombra della sera, piuttosto che uscire allo scoperto di
giorno; questa derisione dei potenti è una chiara critica al potere.
Nella seconda parte la luce se ne è andata, è notte ed è tempo di
divertirsi per staccare dalla quotidianità, di creare e fare follie
anche a costo che la città si scandalizzi, essere liberi sino a far
sesso in una stalla. Si esalta la voglia di scherzare e la libertà.
Gabriele
Teodosio
Espressionismo
Alfred Lichtestein
Villeggiatura
Il cielo è una medusa azzurra,
E intorno campi, verdi collinette –
Mondo sereno, immensa trappola per topi,
potessi sfuggirti alfine… Oh, avessi le ali –
Si gioca a dadi. Si beve. Si ciarla di politica.
Ognuno apre compiaciuto il becco.
La terra è un grasso arrosto domenicale,
Bene intinto nella dolce salsa del sole.
Venisse un vento… sbranasse con unghie d’acciaio
Il mondo delicato. Mi divertirebbe.
Venisse un uragano… dovrebbe fare a pezzi
Questo bel cielo azzurro, eterno.
Il cielo è una medusa azzurra,
E intorno campi, verdi collinette –
Mondo sereno, immensa trappola per topi,
potessi sfuggirti alfine… Oh, avessi le ali –
Si gioca a dadi. Si beve. Si ciarla di politica.
Ognuno apre compiaciuto il becco.
La terra è un grasso arrosto domenicale,
Bene intinto nella dolce salsa del sole.
Venisse un vento… sbranasse con unghie d’acciaio
Il mondo delicato. Mi divertirebbe.
Venisse un uragano… dovrebbe fare a pezzi
Questo bel cielo azzurro, eterno.
E'
un testo espressionista scritto durante il periodo del nazismo. C'è
un messaggio nascosto al suo interno. Ad esempio, il verso "La
terra è un grasso arrosto domenicale"
potrebbe
essere interpretato con un riferimento ai campi di concentramento.
E'
una poesia che colpisce al primo impatto in quanto la parola
"villeggiatura" fa pensare a una bella vacanza, in netta
opposizione all'atrocità del nazismo nei confronti del quale il
testo vuole avere una funzione di denunzia sociale e politica, anche
con l'uso di metafore quali "unghie
d’acciaio".
Antonella
Quercioli
Alfred Lichtestein
Canzone
comica
Odio le finezze incolori
Dell’intellettualità nevrotica.
Amo le variopinte rozzezze
Della natura spudorata e nuda.
Amo le sacche rigonfie
Sotto gli occhi orlati di rosso.
Amo le figure grassocce
Delle puttane agghindate.
Amo i poeti gibbosi
Che guardano storto per terra.
Amo i corpi-pallone
Delle incinte con le doglie.
Amo i ragazzi dagli occhi annebbiati,
Ubriachi, bestiali, quando
Urlano rochi al crepuscolo
Nella luce che quasi si perde.
Amo gli atleti robusti
Col sedere da cane bulldog.
Amo chi bestemmia, non prega
E anch’io sono forse un po’ rude.
Amo il peccato atroce
Quanto il bambino innocente,
Perché in fondo anche noi siamo solo
Dei ciechi, sciagurati imbecilli.
Odio le finezze incolori
Dell’intellettualità nevrotica.
Amo le variopinte rozzezze
Della natura spudorata e nuda.
Amo le sacche rigonfie
Sotto gli occhi orlati di rosso.
Amo le figure grassocce
Delle puttane agghindate.
Amo i poeti gibbosi
Che guardano storto per terra.
Amo i corpi-pallone
Delle incinte con le doglie.
Amo i ragazzi dagli occhi annebbiati,
Ubriachi, bestiali, quando
Urlano rochi al crepuscolo
Nella luce che quasi si perde.
Amo gli atleti robusti
Col sedere da cane bulldog.
Amo chi bestemmia, non prega
E anch’io sono forse un po’ rude.
Amo il peccato atroce
Quanto il bambino innocente,
Perché in fondo anche noi siamo solo
Dei ciechi, sciagurati imbecilli.
Il
poeta mette in stretto legame amore e odio con colore e forma: "Odio
le finezze incolori
dell’intellettualità nevrotica" ; "Amo le sacche rigonfie sotto gli occhi orlati di rosso".
dell’intellettualità nevrotica" ; "Amo le sacche rigonfie sotto gli occhi orlati di rosso".
Tutto
ciò che è forma è colore: sacche rigonfie, le borse sotto gli
occhi sono di color verdastro- violaceo, messe in contrasto con
"occhi
orlati di rosso".
L'intellettualità
non ha forma, i pensieri non sono concreti, così come la religione
non è cosa che si tocca con mano; Lichtestein li considera incolori
perchè non essendo concreti non hanno forma e di conseguenza non
hanno colore.
Spesso
vengono citati gli occhi: "occhi
orlati di rosso",
"occhi
annebbiati, ubriachi, bestiali",
occhi che non vedono lucidamente, li definisce ciechi.
Ama
tutto ciò che è rude: le puttane agghindate, chi bestemmia, chi non
prega, "le
variopinte rozzezze della natura spudorata e nuda",
"il
peccato atroce".
Odia
la religione perchè è anch'essa corrente di pensiero e i pensieri
non hanno colori.
Mentre
ama ciò che è rude per il semplice fatto che rispecchia la vera
natura dell'uomo.
Il
pensiero astratto dell'innocenza, di "ciò che è giusto",
sono pensieri indotti dalla società, ma è solo un opprimere la
nostra natura.
Elisa
D'Andria
Else Lasker-Schüler
Sono
triste
I
tuoi baci fanno buio, sulla mia bocca.
Io
non ti sono più cara.
E
come giungesti!
Azzurro
di paradiso.
Alla
tua più dolce fonte
Il
mio cuore faceva giocoliere.
Ora
lo voglio truccare
Come
le puttane il rosa
Appassito
dei fianchi di rosso.
I
nostri occhi sono socchiusi;
Come
un cielo morente
La
luna è invecchiata.
La
notte non si sveglia più.
Tu
non ti ricordi di me.
Dove
me ne andrò con questo cuore?
Questa
poesia è composta da quindici versi e non è divisa in strofe.
L'autrice fa questa scelta probablmente per dare la stessa importanza
ad ogni verso e creare una composizione continua e lineare.
I
versi presentano frasi brevi e concise; solo il primo e l'ultimo
hanno una lunghezza maggiore. Con la brevità dei versi l'autrice
riesce ad esprimere chiaramente le sue emozioni raccontando, come
suggerisce il titolo, il motivo per cui è triste.
Nella
prima parte del testo ricorda, malinconica, il giorno in cui incontrò
il suo amato.
Negli
ultimi versi, invece, crea un contrasto, tornando a parlare del
presente del loro amore che sta finendo, in alcuni si viene indotti a
pensare che quell'amore sia ora in punto di morte; nell'ultimo
l'autrice si chiede quale futuro avrà.
Nonostante
il significato di quest'opera sia particolarmente cupo e malinconico,
la poesia si presenta con la forza e la vivacità caratteristiche
dell'espressionismo.
Solitamente
gli autori di questa corrente scavano nella psiche umana,
soffermandosi meno sui sentimenti, per questo trovo particolare e
interessante questa poesia che riesce ad esprimere le emozioni più
intime con lo stile e le forme dell'espressionismo.
Sabrina
Deiana
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